LA FAVA DI SAURIS – PRESIDIO SLOWFOOD FRIULI VENEZIA GIULIA

Continuando il nostro percorso alla conoscenza dei nuovi Presìdi Slow Food 2020 della regione Friuli Venezia Giulia (Brovadâr di Moggio Udinese, Cavolo Cappuccio di Collina, Fava di Sauris, Pere Klotzen dell’Alpe Adria), andiamo a conoscere la Fava di Sauris.

Il comune di Sauris, il più alto del Friuli Venezia Giulia, si estende nelll’estremo nord della regione, immerso nelle Alpi carniche e vicino al confine austriaco a 1200 m.s.l.m.
Lo si raggiunge attraverso un percorso tortuoso che sfocia in un ambiente paradisiaco ricco di boschi, pascoli costellati da malghe, il meraviglioso lago verde smeraldo e le caratteristiche abitazioni in legno e pietra uniche nel loro genere.
Il borgo di Sauris, Zahre nell’antico dialetto germanofono, è culturalmente moto legato ai vicini austriaci, come dimostra l’uso della lingua tedesca.

È qui che una particolare qualità di fava ha trovato le condizioni ideali per la sua crescita.
Da antiche documentazioni si evince che già nel 1683 a Sauris era coltivato questo legume e nell’archivio del comune di Sauris si è trovato un menù settimanale del 1819 in cui quasi tutti i giorni era presente almeno un piatto che contemplava la fava.

Nel ‘900 inoltre erano presenti a Sauris le “seccaiole” (“kheisn”), delle strutture dove erano fatte seccare le piante, usate ancora oggi a questo scopo.

Si tratta di una pianta leguminosa annuale conosciuta nel dialetto locale come “poan”, la cui semina avviene a maggio e la raccolta intorno a fine agosto.
Negli anni 60 con l’inizio del processo di industrializzazione del mondo agricolo è stata sostituita dal fagiolo molto più facile da vendere.

Per fortuna gli abitanti di Sauris rendendosi conto dell’unicità della varietà in questione (cresce a 1200 m.s.l.m.) hanno ripreso a coltivarla.
La semina avviene a maggio: in una stessa postarella (buca) si depongono 3 o 4 fave precedentemente lasciate in ammollo per 24 ore.
I baccelli sono piccoli, cilindrici, allungati, e terminano a punta. Una fitta peluria li protegge e li rende resistenti agli sbalzi termici e alle condizioni climatiche di Sauris. Alle estremità sono visibili dei “pennacchi” scuri che contraddistinguono questo ecotipo rispetto alle varietà commerciali. Contengono da 2 a 6 semi, inizialmente verdi e poi di colore più scuro (dal nocciola al bruno) a completa maturazione.

La fava di Sauris si raccoglie a mano verso la fine di agosto e la si mette a riposare ai margini dei centri abitati nelle seccaiole.
Dopo circa un mese, quando la fase dell’essiccazione è completata, si passa alla battitura, anch’essa manuale. I semi sono separati dai baccelli con un crivello, lanciando controvento le piante trebbiate con un’apposita paletta.
Tostate e macinate diventano un’ottima farina per fare pane o polenta (unita ai cereali) e perfino surrogato del caffè.

I piatti tradizionali per eccellenza rimangono in ogni caso la minestra di fave e le fave lesse condite con il burro.

Il disciplinare di produzione prevede l’autoproduzione della semente, la rotazione triennale con cereali, patate o barbabietole ed esclude qualsiasi trattamento chimico.

(fonte Fondazione Slow Food per la biodiversità Onlus)

Maria Teresa Gasparet, 25 Gennaio 2021

Add comment